Partitismo o movimentismo...quale strada seguire in futuro?


L’impegno politico attivo dei cittadini può essere praticato in diversi modi, secondo diverse forme di partecipazione e di associazione, di militanza e di adesione ad un progetto o ad una lotta specifica oppure ad un vero e proprio soggetto politico organizzato. In particolare, le due forme principali di partecipazione attiva alla vita politica sono quelle rappresentate dai partiti e quelle interpretate dai movimenti. Sono due modi diversi di raccogliere le istanze provenienti dalla società e di vivere l’attività politica in maniera diretta. 


La dicotomia tra partito e movimento è antica e, in quanto tale, ha prodotto – in passato – interessanti dibattiti che hanno attraversato la storia repubblicana. A mio avviso la sintesi potrebbe essere questa: “La politica dei partiti è modulata dalle scadenze elettorali, dagli indirizzi preordinati, quella dei movimenti è un lavoro costante, un laboratorio, un cantiere politico in continua evoluzione”.
In Italia i movimenti odierni hanno molte somiglianze con quelli del passato, con l’aggiunta di un condimento di “masaniellismo” tipico del bel paese : le proteste vengono amplificate, passate al megafono, da figure carismatiche che spesso non sono estranee completamente al sistema, ma sanno usare le piazze o più in generale le proteste dell’opinione pubblica anche per assumere un ruolo personale privilegiato. Così fece Berlusconi nella metà degli anni novanta, quando canalizzò su di sé la voglia degli italiani di uscire dalle paludi socio-economiche create in cinquant’anni di governi democristiani e ingigantite dagli ultimi anni di penta-partito. Grillo ci ha provato alcuni anni fa, creando prima eventi di piazza e poi una rete di movimenti che si presenta alle elezioni, un “grillismo” che si vuole non solo contrapposto al “berlusconismo” ma anche ad ogni forma di democrazia in cui esista una mediazione tra il popolo e il potere, quella che nella nostra forma costituzionale dovrebbero svolgere i partiti. 

Per questo viene ostracizzato da tutti i partiti istituzionali che cercano goffamente di intercettarne gli elettori, ma non possono farlo finché mantengono usi e personaggi che li hanno fatti diventare nell’opinione pubblica solo gruppi di affaristi. L’ultimo della serie sembra essere l’appena eletto sindaco di Napoli, De Magistris, che evoca (come ha fatto in tono più dimesso anche il sindaco di Milano Pisapia alla piazza di Libertà e Giustizia) una nuova primavera, una politica senza i partiti, un potere diretto dei cittadini. Ancora in Italia gli indignati sono limitati alle annuali proteste studentesche e a qualche manifestazione, e non possiamo sapere se si “radicheranno” come in Spagna o negli Stati Uniti. 

Possiamo pensare allora, che questi movimenti siano almeno in grado di dare spazio all’ immaginazione politica necessaria per superare la pigrizia dell’ ineluttabilità del presente? Ovvero riusciranno questi movimenti a diventare politica e riusciremo a costruire un civismo moderno unendo indignazione e speranza e con queste costruire la società di domani ?

Alessio Berni